
11 marzo 2012
La vista della donna morta al porto le ondeggiava nella testa insieme al dolore, finchè non dovette arrendersi e infilare una mano nella borsa alla ricerca dell’aspirina. Andò nella cucina a prendere un bicchiere d’acqua e si fermò davanti al lavandino per inghiottire le pillole, che sapeva avrebbero alleviato solo il picco del dolore. Il punteruolo accuminato che lavorava nel profondo, quello non lo avrebbero eliminato. Cercò invano di accantonare i pensieri, ma le si rovesciavano addosso ugualmente insieme all’immagine della sirena morta col ventre insanguinato. Non poteva accadere. Nessun essere umano avrebbe dovuto finire così la sua vita.
(…) vide l’uomo entrare in sala pesi. La prima cosa che la colpì fu la sua stazza. Era alto e largo, ma riempiva la stanza anche in un altro, indefinibile modo. Aveva in spalla un borsone verde bottiglia e indossava i jeans e una polo nera a maniche corte. In poche parole era comune, eppure non lo era. Pensò a Bo e alla sua figura ossuta, magra come quella di un gatto; ai capelli lunghi e alla barba che doveva sempre ricordagli di spuntare perchè non somigliasse a un profugo albanese. Pensò alla sua eterna inquietudine, a quanto trasferiva il proprio nervosismo in tutta la casa. E piena di vergogna bramò improvvisamente tranquillità e sicurezza, bramò di affondare nell’abbraccio di un uomo imponente con la voce che suonava come mogano scuro.
Che cos’era quel giro di donne infelici che stava lentamente emergendo dal disegno generale? Da dove cominciava? Dall’offerta di uteri in affitto? Dalla domanda? O in realtà era cominciato il giorno in cui la scienza era riuscita a generare un bambino fuori dall’utero della madre biologica? O il primo giorno della storia del genere umano, quando la donna aveva scoperto la maternità e l’aveva assunta come identità?
Anche lei era cresciuta in un periodo della storia in cui la solidarietà fra donne era una priorità scritta in rosso sugli striscioni delle femministe. E adesso stava lì, nel bel mezzo di un caso in cui alcune donne sfruttavano altre donne nel nome della sacra maternità, e poi si concedevano l’assoluzione. I tempi erano cambiati. La concezione della felicità personale nella casa unifamiliare non era solo diventata una cosa per cui si era pronti a lavorare e a combattere. Era una cosa per cui si era pronti a sfruttare gli altri e forse persino a uccidere.
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