“I biscotti di Baudelaire” di Alice Babette Toklas25 maggio 2018
Dopo il calendario altro giro con Canva...
Ricette e ricordi, profumi e sapori tra le eccentricità e la grande arte della Parigi tra le due guerre.
I libri di cucina mi sono sempre piaciuti, mi hanno sempre incuriosita. Quando ero una dilettante dei fornelli li leggevo tutti, anche quelli noiosi, dalla prima all'ultima pagina, come Gertrude Stein con i libri gialli.
Quando cominciammo a leggere Dashiell Hammett, Gertrude Stein osservò come, nei suoi libri, la vera novità consistesse nel fatto che di solito le vittime morivano prima dell'inizio della storia vera e propria. Innumerevoli delitti seguivano poi inevitabilmente il primo. Così succede anche in cucina. (...) Ecco perché cucinare non è un passatempo soltanto piacevole. (...)
Il solo modo di imparare a cucinare è cucinare, e per me, come per tanti altri, cucinare divenne all'improvviso, inaspettatamente, una sgradevole necessità durante la guerra e l'occupazione. Fu in condizioni di razionamento e scarsità di cibo che imparai non solo a cucinare seriamente ma anche a fare acquisti in circostanze difficili senza sprecare troppo tempo per entrambe le cose, dato che ce n'erano altre molto più importanti e più divertenti da fare. Fu allora, quindi, che cominciarono gli assassinii in cucina.
La prima vittima fu una bella carpa, portata ancora viva in cucina in un cestino coperto dal quale nulla poteva scappare. Il pescivendolo che me la vendette disse di non aver tempo di ammazzarla, toglierle le scaglie e pulirla, né mi volle dire con quale di queste tre orribili e necessarie incombenze fosse meglio cominciare. Non fu difficile capire quale fosse la più repellente. Quindi, avanti con l'assassinio e facciamola finita. (...) Mi venne subito in mente un bel coltello affilato, l'arma classica, perfetta. Detto fatto: con la mano sinistra avvolta in uno strofinaccio, perché poteva darsi che l'animale avesse denti affilati, afferrai la mascella inferiore della carpa, e col coltello stretto nella destra cercai attentamente la base della colonna vertebrale. Vibrai il colpo fatale senza esitare, poi lasciai andare il pesce e guardai. Orrore degli orrori. La carpa era morta, uccisa, assassinata, assassinio di primo, secondo e terzo grado. Mi lasciai andare, priva di forze, su una sedia, e con le mani ancora sporche afferrai una sigaretta, la accesi e aspettai che arrivasse la polizia ad arrestarmi. Dopo una seconda sigaretta mi tornò un po' di coraggio e mi mossi per preparare la povera signora Carpa per il suo ingresso in sala da pranzo. Grattai via le scaglie, tagliai le pinne, le aprii la pancia e la svuotai di un sacco di roba che preferii non guardare, la lavai accuratamente, la asciugai e la misi da parte mentre preparavo la
CARPA RIPIENA DI CASTAGNE
Per una carpa di circa 1 kg e mezzo, tritare una cipolla di media grandezza e soffriggerla lentamente in 3 cucchiai di burro. Aggiungere una fetta di pane spessa circa 5 cm imbevuta di vino bianco secco, strizzata e tagliata a cubetti, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, 2 scalogni tritati, 1 spicchio d'aglio pestato, 1 cucchiaino di sale, un quarto di cucchiaino di pepe appena macinato, un quarto di cucchiaino di macis in polvere, lo stesso di alloro e di timo e 12 castagne bollite e sbucciate. Mescolare bene, lasciar freddare, aggiungere un uovo crudo, riempire la pancia e la testa del pesce con il composto, chiudere accuratamente con stecchini, legare la testa in modo che il ripieno non esca durante la cottura. Lasciar riposare per almeno un paio d'ore. Versare 2 tazze di vino bianco secco in una terrina, metterei il pesce, salare a piacere. Cuocere in forno per 20 minuti a 190 gradi. Ungere il pesce e coprirlo con uno spesso strato di pane grattugiato, cospargere con 3 cucchiai di burro fuso e cuocere per altri 20 minuti. Servire ben caldo con un contorno di pasta. Per 4 persone. La testa della carpa è enorme. È considerata un boccone prelibato da molti europei.
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“L’assassino del Marais” di Claude Izner22 marzo 2017
Il campanile della chiesa della Trinité aveva appena battuto le otto del mattino. All'improvviso, una terribile esplosione scosse il quartiere. In pochi secondi, in rue de Clichy, un edificio di cinque piani vacillò sulla propria base, la scala crollò dal mezzanino fino al sottotetto e tutti i vetri andarono in frantumi.
L'onda d'urto fece vibrare il suo corpo. Il suo cervello tradusse: Apocalisse. La strada cominciò a girare su se stessa. La polvere gli pizzicava le narici, ma ciò che lo invadeva era qualcosa di diverso da quell'odore acre: sembrava riemergere dal ricordo di un'esperienza antica, soffocata da molto tempo. L'eco di quello che era successo. Un segno.
La fede ardente nell'esistenza di una risolutezza divina, il rispetto delle Scritture e il terrore dei sacramenti provocarono in lui la visione del suo tutore che puntava l'indice rigido verso il cielo oscuro. Era tornato, la sua voce tuonava. Sempre le stesse parole: «Ci fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta del colore del sangue... A sguazzare nell'eresia si ottiene la dannazione! Castigo! Castigo!»
Cocci di vetro cospargevano il selciato. Un vecchio che tremava si era seduto sul bordo del marciapiede. Una donna dai vestiti laceri e coi capelli coperti d'intonaco urlò. Già arrivavano i primi soccorsi.
Poco desideroso di saperne di più, Victor si era vestito e si apprestava a uscire. Avrebbe voluto baciare Tasa, ma non riusciva a decidersi a farlo sotto lo sguardo sarcastico di Laumier.
«E il caffè?» esclamò lei.
«Sono in ritardo, un appuntamento in rue des Saints-Pères. Torno questo pomeriggio.»
«Non sono sicura di esserci...»
«Pazienza », biascicò.
Prima che potesse afferrare la maniglia, la porta si aprì, rivelando un omino con la bombetta, gli occhiali e un sigaro.
Non appena lo vide, Laumier urlò: «Lautrec! Che coincidenza! Sono andato agli Indépendants, l'allesti-
mento è splendido, mi piace terribilmente il vostro La Goulue entra al Moulin-Rouge, un'autentica faccia da sabba!»
Era davvero troppo. Victor percorse in pochi passi la distanza che lo separava dal suo appartamento e andò a chiudersi nella camera oscura. Che cosa importava se Tasa gli rimproverava il suo brutto carattere? Lui non sopportava proprio di saperla circondata da uomini l'uno più volgare dell'altro. Da creativi, sosteneva lei. E il suo talento dove lo metteva? La pittura, la pittura, sempre la pittura! E la fotografia?
Claude Izner è lo pseudonimo letterario delle sorelle Liliane Korb e Laurence Lefèvre, entrambe parigine e libraie, che da diversi anni scrivono romanzi a quattro mani. La loro passione per la storia e i romanzi gialli le ha spinte a creare il personaggio di Victor Legris, libraio e investigatore della Parigi del XIX secolo.
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“Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”30 settembre 2016
di Eric-Emmanuel Schmitt
(...) Brigitte Bardot fa il suo ingresso in drogheria.
"Buongiorno. Avete acqua?"
"Certo, signorina".
E qui succede l'inimmaginabile: monsieur Ibrahim va di persona a prendere una bottiglia d'acqua dallo scaffale e gliela porge.
"Grazie. Quanto le devo?"
"Quaranta franchi, signorina".
Brigitte ha un sussulto. Io pure. Una bottiglia d'acqua costava due franchi, all'epoca, non quaranta.
"Non sapevo che l'acqua fosse così rara, da queste parti".
"L'acqua non è rara, signorina, ma le vere dive sì".
L'ha detto con un tale charme, con un sorriso talmente irresistibile che Brighitte Bardot arrossisce leggermente, tira fuori i quaranta franchi e se ne va.
Non ci posso credere.
"Certo che ha una bella faccia tosta, lei, monsieur Ibrahim!"
"Eh, caro Momo, in qualche modo bisogna pure che rientri di tutte le scatolette che mi porti via".
Quel giorno siamo diventati amici.
"Perchè non sorridi mai, Momo?" mi domandò monsieur Ibrahim.
La domanda era come un cazzotto, un vero e proprio cazzotto al fegato, non c'ero preparato.
"Sorridere è roba da gente ricca monsieur Ibrahim. Io non ho i mezzi".
Naturalmente lui cominciò a sorridere, tanto per farmi girare le scatole. (...)
"Monsieur Ibrahim, quando dico che il sorriso è roba da ricchi, intendo dire che è roba per gente felice".
"Ecco, è qui che sbagli. E' il sorriso che rende felici".
"Allora, quand'è che mi adotta, monsieur Ibrahim?"
E lui, ridendo quanto me, ha risposto: "Anche domani, se vuoi, mio piccolo Momo!"
E' stata una dura lotta. Contro il mondo ufficiale, quello dei timbri, delle autorizzazioni, dei funzionari che diventano aggressivi se uno si permette di disturbarli. Nessuno voleva saperne di noi. Ma Ma monsieur Ibrahim non si lasciava scoraggiare.
"Il no ce l'abbiamo già in tasca, Momo. Ora non ci resta che ottenere il sì".
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Tour Eiffel18 agosto 2011
Onomastico parigino!
Costruita in occasione dell'Esposizione univerale del 1889, la torre progettata da Gustave Eiffel avrebbe dovuto essere un'opera temporanea, molto criticata dagli esteti del XIX secolo (il poeta Paul Verlaine cambiava strada pur di non vederla) divenne invece il simbolo di Parigi.
E' stata la più alta costruzione al mondo fino al 1931 quando fu completato l'Empire state Building a New York.
Il primo livello, a 57 metri, può essere raggiunto in ascensore o salendo 360 gradini, vi si trova anche un ufficio postale.
Salendo altri 700 gradini, o prendendo l'ascensore, si arriva al secondo livello dove vi è il ristorante Jules Verne, uno dei migliori di Parigi.
Altri ascensori portano al terzo livello, a 274 metri di altezza, che può ospitare sino a 800 persone alla volta.
Alcuni numeri:
compresa l'antenna è alta 320 metri;
con il caldo l'altezza aumenta sino a 15 centimetri per la dilatazione del metallo;
i gradini fino al terzo livello sono 1652;
la tengono insieme 2,5 milioni di chiodi ribattuti;
non oscilla più di 12 centimetri;
pesa 10100 tonnellate;
40 tonnellate di vernice vengono usare ogni quattro anni per riverniciarla.
La torre ha ispirato molti gesti di folle coraggio. E' stata scalata da alpinisti, discesa in bicicletta da un giornalista, usata come base di lancio da paracadutisti e come palcoscenico da trapezisti. Nel 1911 un sarto parigino, Reisfeldt, tentò di volare lanciandosi giù dalla torre munito solamente di un mantello di sua creazione adattato per formare delle ali. Si schiantò davanti a una grande folla, secondo l'autopsia morì d'infarto prima di toccare terra.
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Settimana a Parigi16 agosto 2011
Personalissima selezione di cosa vedere in sette giorni… dando per scontato un piacevole ritorno altrettanto ricco di cose imperdibili…
Île de la Cité
Notre-Dame
Ste-Chapelle
mercato dei fiori de l'Île de la Cité
Île St-Louis
Quartiere Latino
St-Séverin
Musée de Cluny (anche solo in esterno se il tempo è tiranno...)
Musée d'Orsay
Grand Palais e Petit Palais (solo in esterno... bisogna essere realistici...)
Hôtel des Invalides (solo in esterno)
Tour Eiffel
Musée de l'Orangerie
Jardin des Tuileries
Place du Carrousel
Musée du Louvre (in questa giornata solo in esterno...)
la Pyramide
Centre Pompidou (Beaubourg)
St-Eustache
Forum des Halles (giusto un'occhiata per curiosità...)
St-Germain l'Auxerrois
lungo Senna
St-Sulpice e lo gnomone astronomico
Palais du Luxembourg (solo in esterno)
Jardin du Luxembourg
Cimetière du Montparnasse
Tour Maine-Montparnasse (salita alla terrazza panoramica)
Boulevard du Montparnasse e statua di Balzac (se resta del tempo…)
Musée du Louvre (dodici ore minimo minimo… a patto di resistere…)
Muséum National d'Histoire Naturelle
Jardin des Plantes
metropolitana Abbesses (merita una fotografia…)
Montmartre
Sacré-Coeur
Au Lapin Agile e Moulin Rouge (solo in esterno???)
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